Questo libro nasce da una ricerca molto articolata svolta nell’ambito dei programmi dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia per la valutazione del rischio sismico nelle maggiori città italiane. Qui rendiamo disponibili parametri attendibili per la valutazione della pericolosità sismica di Bologna, facendo luce su una tradizione di dati spesso confusa e imprecisa. La ricerca è stata condotta ad ampio raggio e nel lungo periodo storico. I caratteri della sismicità del territorio bolognese sono stati analizzati nel contesto storico e sociale del tempo in cui i terremoti sono avvenuti. Si tratta di varie decine di terremoti, per lo più costituiti da lunghe sequenze di scosse, accaduti fra il xn e il xx secolo. Molti eventi non hanno causato effetti superiori alla soglia del danno. Trentotto scosse invece l’hanno superata, raggiungendo in tre casi effetti a Bologna di VII-VIII grado d’intensità MCS. Particolare cura è stata dedicata agli effetti sull’edilizia storica e monumentale. Sono descritti gli effetti sismici su 86 monumenti (chiese, palazzi, monasteri, torri ecc.). Alcuni di questi sono simboli della città, come la torre medievale degli Asinelli e il Santuario della Madonna di San Luca. Ne sono stati individuati e descritti i danni e i restauri: per la torre degli Asinelli è stata fatta, con la collaborazione delle Università di Brescia e di Milano, anche l’analisi del comportamento sismico dal punto di vista dell’ingegneria strutturale. Inoltre, sono stati elaborati proprio per questo studio dieci rari sismogrammi “storici” relativi ai terremoti del 1929 per confrontare i parametri di magnitudo calcolati con diversi metodi.
Le numerose carte tematiche danno un’immagine d’insieme dell’impatto sul territorio di Bologna e nell’area del centro storico. Per rendere meglio utilizzabile questa ricerca sono state pubblicate anche le fonti manoscritte inedite, che hanno fornito i dati di base. Si tratta di preziosi documenti d’archivio, cronache di antichi testimoni, lettere e relazioni di naturalisti e scienziati: un grande “mosaico della memoria”, precedentemente non noto, che potrà forse essere utile anche in altri settori, fra cui quelli interessati alla conservazione dei centri storici e del loro patrimonio architettonico. Può forse sorprendere l’importante ruolo della ricerca storica in sismologia: eppure questi risultati sono stati resi possibili proprio dal dialogo che la sismologia ha aperto da anni con la ricerca storica e che ha dato luogo alla definizione di una nuova branca ormai affermata, la sismologia storica, di cui proprio Bologna ha avuto fin dagli anni Ottanta del Novecento, con la SGA, uno dei suoi centri oggi più noti in ambito internazionale.
È qui doveroso ricordare anche che la sismologia in Italia ha avuto nell’Università di Bologna un importante alveo di sviluppo che ha fatto da traino, a partire dagli ultimi anni Ottanta del Novecento, alla crescita di altri enti di ricerca, fra cui l’attuale INGV. Benché il nostro Paese sia sottoposto a un elevato rischio sismico e vulcanico, la geofisica, cioè lo studio della Terra con i metodi rigorosi della fisica e della matematica, ha stentato ad avviarsi rispetto a quanto è avvenuto negli altri Paesi avanzati. Sulla scia di Enrico Fermi e della sua scuola, la fisica italiana è stata infatti a lungo orientata prevalentemente verso lo studio dei costituenti elementari della materia. Ancora negli anni Settanta dello scorso secolo, le cattedre universitarie di Fisica terrestre si contavano sulle dita di una mano.
Fu in quel periodo che nell’Università di Bologna si andò sviluppando un gruppo di giovani ricercatori, laureati in fisica, i quali, grazie anche a esperienze di studio all’estero, avviarono ricerche in diversi settori della sismologia, in particolare lo studio dell’interno della Terra e della sorgente dei terremoti, utilizzando gli strumenti concettuali più moderni e pubblicando i risultati delle loro ricerche sulle principali riviste internazionali del settore. Questo sviluppo fu reso possibile dalla lungimiranza di Giampietro Puppi, allora direttore dell’Istituto di Fisica, il quale intuì il ruolo che la geofisica avrebbe rivestito nel futuro e si adoperò perché alcuni giovani ricercatori si indirizzassero verso quegli studi. Nell’ambito della Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, nacque così l’Istituto di Geofisica, di cui mi fu affidata la direzione nel 1977. Per molti anni l’Istituto, per la novità e la varietà degli interessi e per la produttività scientifica, ha costituito un punto di riferimento nella ricerca geofisica italiana connotandosi tra i gruppi più apprezzati a livello internazionale. Negli anni Ottanta, con l’organizzazione delle Università in Dipartimenti, l’Istituto di Geofisica confluì nel Dipartimento di Fisica dell’Università di Bologna, costituendone tuttora un importante settore.
A molti studi sui terremoti pubblicati nell’ultimo decennio dall’INGV hanno concorso, come per questo libro, esperienze scientifiche apparentemente distanti, ma convergenti nel recepire in modo innovativo i problemi posti dalle diverse realtà sismiche del Paese.
Enzo Boschi
Docente di Sismologia - Università di Bologna Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
La ricerca sui terremoti a Bologna e nel suo territorio: contenuti sismologici e di storia urbana
I terremoti a Bologna non sono stati né pochi né trascurabili, eppure, se si esclude la scia di ricordi che i terremoti del 1929 hanno lasciato in molti cittadini, oggi anziani
0 anzianissimi, la sismicità a Bologna non ha lasciato tracce di sé e non si è formata una consapevolezza diffusa di questo carattere ambientale. Come si vedrà da queste pagine, è stato necessario ripercorrere memorie e documenti prodotti in otto secoli di storia urbana per avere un’immagine precisa della sismicità di quest’area tale da poter essere usata per valutare la pericolosità sismica della città e del territorio attorno ad essa, densamente urbanizzato e amministrato da diversi comuni.
Questo studio è iniziato nel 1998 con l’obiettivo di districare, per così dire, le immagini confuse di terremoti che la tradizione storiografica locale aveva per lo più congelato in pochi elementi, senza un vero significato sismologico. Sono occorsi alcuni anni di lavoro non solo per reperire i dati necessari, ma anche per interpretarli ed elaborarli. Dai risultati emergono i quadri di effetti dei vari terremoti elaborati a scala regionale e urbana: le carte a scala regionale consentono di avere per ogni terremoto un’immagine complessiva, da cui si evidenziano, oltre agli epicentri, propagazioni e anomalie. Le carte a scala urbana danno invece una visualizzazione dei danni nell’area attuale della città, facendo emergere la diversa risposta sismica, a cui concorrono anche elementi geologici e geomorfologici, nell’area entro le mura. Nell’insieme, dati descrittivi e cartografia tematica delineano quegli scenari sismici che si erano perduti.
Attraverso questa ricerca sono emerse le lunghe sequenze sismiche che hanno colpito Bologna, e che possono essere considerate “tipiche” della sismicità di quest’area, espressione della storia geologica del territorio. Bologna ha avuto terremoti che sono durati da vari mesi a circa un anno nel 1504-1505, nel 1779-80, nel 1881, nel 1929: questi terremoti colpirono la città con effetti non fortemente distruttivi, cioè tali da causare crolli estesi e gravi inagibilità dell’abitato, ma di medio impatto, con danni diffusi nell’area urbana e nei comuni vicini, che misero a dura prova il patrimonio edilizio, pur di discreta qualità complessiva.
Da questa ricerca sono emersi non solo gli effetti di terremoti locali, ossia di quelli le cui aree sorgenti si trovano in territorio bolognese, ma anche gli effetti di terremoti originati da faglie lontane, in particolare della Romagna e dell’area friulana-slovena.
1 terremoti che Bologna ha subito in passato sono eventi che forse oggi non causerebbero vittime, ma piuttosto danni economici e complessi disagi al sistema abitativo e degli scambi (trasporti, servizi).
Quante volte Bologna è stata colpita da terremoti che hanno raggiunto o superato la soglia del danno, ossia il V-VI grado MCS? Se si osserva il grafico della figura la si può valutare la serie di scosse che hanno superato la soglia del danno, selezionate fra le 650 messe in luce e interpretate in questa ricerca: sono 38 terremoti, accaduti fra il XII e il xx secolo. Se si escludono i secoli per i quali maggiore è la perdita di informazioni, ossia il XII, XIII e XIV, per i quali quindi i dati sono da considerare sporadici
e quasi casuali, si può rilevare che dal xv al xx secolo compreso sono stati sentiti a Bologna e nel suo territorio 33 terremoti a partire dalla soglia del danno, ossia in media un terremoto ogni 18 anni circa. Davanti a questi dati può forse sorprendere la mancanza di eventi significativi dopo la crisi sismica del 1929. Dobbiamo quindi aspettarci nuovi eventi in tempi brevi? Purtroppo la sismologia non ha gli strumenti cognitivi per fare previsioni di questo tipo, ma si può ragionevolmente ritenere probabile che entro i prossimi decenni Bologna possa risentire un altro terremoto.
Ma come sono stati costruiti questi scenari sismici e attraverso quali dati di base? I percorsi di ricerca e le problematiche inerenti le varie fonti sono esplicitati nei capitoli riguardanti i singoli terremoti, ma qui delineo in modo sintetico solo le tipologie di fonti utilizzate per favorire una percezione d’insieme dei problemi affrontati. È però doveroso precisare che questo studio non è partito da zero. Infatti, nelle ricerche sviluppate dal 1983 a oggi dalla SGA, e via via confluite nel Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (Boschi et al. 1995, 1997 e 2000), la sismicità di Bologna era già stata presa in esame, ma la soglia di intensità richiesta da questo Catalogo (ossia quella superiore al VII grado MCS) aveva fatto sì che solo alcune sequenze sismiche bolognesi fossero state analizzate (1504-1505, 1779, 1929), escludendo quindi la maggior parte dei terremoti di quest’area. Questo studio si è posto l’obiettivo di migliorare i dati precedenti e di realizzare un’analisi di elevato dettaglio di tutti i terremoti risentiti a Bologna a partire dalla soglia del danno, ossia il grado V-VI MCS e di avere dati sulla sismicità anche sotto tale soglia: questi elementi infatti, benché concorrano in misura minore alla valutazione della pericolosità sismica urbana, costituiscono comunque dati preziosi per calcolare le propagazioni dei terremoti nella Pianura Padana.
Dal XII secolo all’inizio del XVI
La ricerca condotta per reperire informazioni sui terremoti di epoca medievale (compresa la lunga sequenza sismica del 1504-1505) ha riguardato fonti documentarie e memorialistiche. Tuttavia, mentre le cronache, di cui moltissime manoscritte, hanno fornito un contributo essenziale per la definizione degli scenari sismici dei terremoti medievali, la documentazione archivistica è assai meno abbondante. Dai circa 55 documenti vagliati nell’Archivio di Stato di Bologna, sulla base di tipologie documentarie specifiche e di indicatori cronologici, sono stati reperiti dieci documenti d’interesse per questa ricerca, di cui quattro prodotti da istituzioni (due ecclesiastici e due emanati dalle magistrature cittadine), mentre gli altri sei sono costituiti da lettere, note di spese e libri di ricordi di congregazioni religiose. La documentazione reperita si riferisce in particolare ai terremoti del 20 dicembre 1455 e del 1504-1505. Una così scarsa presenza di pratiche relative ad effetti sismici nella documentazione istituzionale non può essere spiegata solo con la dispersione documentaria dei fondi più antichi e con la loro incompletezza. Occorre infatti tenere conto che in epoca medievale le magistrature cittadine, la cui stabilità politica era spesso precaria, in caso di terremoto non erano interessate alla verifica dei danni sull’edificato urbano. Solo gli edifici pubblici erano d’interesse istituzionale perché alla loro manutenzione e riparazione dovevano provvedere i pubblici poteri. Pertanto, la documentazione prodotta dalle istituzioni in quel periodo non conserva informazioni sugli effetti nell’edilizia privata. Conferma questo elemento l’esiguità numerica dei documenti istituzionali reperiti (solo due) riguardanti i terremoti del 1504-1505,
la lunga sequenza sismica che danneggiò diffusamente Bologna, come si potrà vedere nel seguito.
Per quanto riguarda le fonti prodotte dalla memoria dei singoli individui, per lo più testimoni diretti, sono state prese in esame circa 90 cronache, di cui 71 manoscritte. Molti dei codici che conservano le cronache bolognesi tardomedievali furono scritti tra il xv e il xvi secolo. La maggior parte delle cronache consultate è conservata in manoscritti autografi della Biblioteca Universitaria e della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna. Poche altre cronache manoscritte e autografe si conservano in altre sedi di ricerca, quali l’Archivio di Stato di Bologna, la Biblioteca delle Collezioni d’Arte e Documentazione Storica della Cassa di Risparmio e la Biblioteca del Convento di S.Francesco di Bologna. Delle circa 90 cronache consultate poco più della metà contiene dati positivi per la conoscenza dei terremoti bolognesi.
Le ragioni per cui una così consistente quantità di fonti cronachistiche non ha conservato traccia di terremoti stanno innanzitutto nella storia della produzione memorialistica bolognese e nei ‘metodi storiografici’ adottati dai compilatori di cronache. I caratteri della memorialistica bolognese spiegano anche, ma non solo, perché nel periodo tra il XII e il xv secolo gli autori che ricordano un terremoto si limitano quasi sempre ad annotarne la data di accadimento e a connotarne l’intensità con un aggettivo, senza fornire altre informazioni. Questa scelta si deve forse anche a una particolare ‘percezione’ culturale e sociale del terremoto: tra guerre, conflitti di fazioni, carestie, epidemie, eventi meteorologici estremi, il terremoto appariva probabilmente come uno dei tanti eventi calamitosi, cui i cronisti non prestavano particolare attenzione, soprattutto se gli effetti non erano particolarmente distruttivi.
Costituiscono un’eccezione a tale scarsità di informazioni i terremoti del 1504-1505, su cui i cronisti coevi si soffermarono con descrizioni particolareggiate. Gli elenchi degli edifici più importanti danneggiati, gli interventi di riparazione e la risposta emotiva della popolazione e, in alcuni casi, i resoconti della propria individuale esperienza del terremoto costituiscono una preziosa base informativa per la sismologia storica, ma anche per la storia dei singoli edifici monumentali. Un altro aspetto risulta evidente dalla lettura di questi testi: salvo qualche accenno, i cronisti puntarono lo sguardo solo sulla città, cioè sull’area urbana interna alle mura, trascurando la
vasta area del ‘contado’. In presenza di una notevole quantità di testimonianze sui terremoti del 1504-1505, lo scenario sismico delineato è il risultato di una analisi dettagliata e incrociata di tutte le fonti reperite: un’analisi condotta a diversi livelli, che ha permesso anche di rilevare significati e sfumature nei lemmi usati dagli antichi testimoni, per meglio individuare tipologie di danni. Questo paziente confronto tra parole ed espressioni utilizzate dai diversi cronisti ha contribuito a far comprendere meglio talune tipologie di danno. L’esegesi dei testi ha messo in evidenza la ricchezza espressiva e la varietà lessicale delle fonti memorialistiche bolognesi, come si può osservare anche dalla lettura dei testi manoscritti (capitolo 9 di questo volume). Questo tipo di analisi ha riguardato anche opere memorialistiche e storiografiche posteriori ai terremoti per individuarne le fonti, verificarne l’attendibilità e in alcuni casi rilevare anche il metodo di compilazione dell’opera.
Dalla metà del XVI secolo al XVIII
Per più di un secolo, dalla seconda metà del Cinquecento fino alla seconda metà del Seicento, a Bologna avvenne un solo terremoto, quello del 14 aprile 1666. La leggera entità degli effetti spiega perché questo terremoto sia poco documentato dalle fonti memorialistiche e per nulla da quelle archivistiche. Risulta tuttavia interessante rilevare che nei Diari del Senato, il massimo organo di governo cittadino nei secoli XV-XVIII, non c’è traccia del terremoto del 1666. È invece riportata una lunga e dettagliata descrizione degli effetti del terremoto dell’Appennino romagnolo iniziato il 22 marzo 1661. In questo resoconto la notizia dei danni di leggera entità a Bologna lascia il posto alla narrazione dei danni gravissimi nelle località della Romagna, tanto da far sospettare che, se non ci fossero state informazioni così gravi da riferire, gli effetti di quel terremoto a Bologna non avrebbero avuto una memoria istituzionale. Anche nelle fonti memorialistiche si parla assai poco di questo evento. A questo riguardo si può ricordare che nel Seicento a Bologna non si scrisse quanto nei secoli
precedenti e che le opere cronachistiche sono oggettivamente poche.
Molto più consistenti, sia per la qualità sia per la quantità degli elementi informativi conservati, sono le fonti prodotte poco più di un secolo dopo, quando ci furono i cinque terremoti del 1779-80. In questo caso le fonti documentarie sono state determinanti per la conoscenza degli effetti sismici sulla città e sui singoli edifici monumentali. Tuttavia scarsa è la documentazione prodotta dalla pubblica amministrazione e ciò può forse sorprendere dato il largo spazio dedicato a questi terremoti da altre tipologie di fonti. La relativa scarsità della documentazione amministrativa pubblica è dovuta al sostanziale ‘disinteresse’ dei poteri locali ad accertare i danni sull’edificato e a farsi carico economicamente della ricostruzione. Se nel medioevo il mancato interesse delle istituzioni verso i danni nell’edilizia privata era pressoché generalizzato, alla fine del Settecento quell’atteggiamento era invece un’eccezione. Infatti, le magistrature di molti antichi stati italiani avevano adottato nel corso del Seicento e del Settecento provvedimenti a sostegno dei piccoli e medi proprietari di edifici danneggiati, promuovendo verifiche dei danni affidate a esperti architetti o a mastri muratori che lasciarono dettagliate relazioni e perizie (per noi oggi fonti preziose). Per il sostegno finanziario delle ricostruzioni si erano consolidate delle politiche di intervento in genere basate sull’esonero fiscale parziale o totale. Rimanendo nell’ambito degli stati preunitari confinanti con l’area bolognese, si può ricordare che nel granducato di Toscana, sotto il governo dei Medici poi dei Lorena, si erano strutturate delle prassi di intervento statale basate su prestiti agevolati: per quei tempi questo era uno strumento finanziario molto innovativo, perché rendeva disponibile denaro per la ricostruzione e metteva i piccoli proprietari in grado di ricostruire bene. Ma all’interno dello stato della Chiesa, a cui Bologna apparteneva, le politiche d’intervento furono complessivamente meno adeguate ai bisogni delle popolazioni, tuttavia pur sempre attuate sotto la spinta di tragiche necessità (si vedano i terremoti della Romagna del 1661 e 1688, dell'Umbria del 1703, del Riminese del 1786 ecc.). Nel caso di Bologna, invece, l’amministrazione pubblica appare assente, se si escludono i provvedimenti adottati per la riparazione solo di edifici di proprietà pubblica. Le istituzioni locali non sostennero i privati che dovettero riparare le loro case danneggiate a proprie spese. Ed è proprio dagli Archivi di famiglie che sono emersi vari documenti attestanti le spese delle riparazioni in palazzi e dimore. Restano in ombra, ovviamente, i proprietari minori, per i quali nessuna documentazione attesta i danni e lo sforzo economico fatto per ripararli, in una congiuntura complessiva non proprio favorevole.
Molto più ricca di informazioni è la documentazione degli enti ecclesiastici, congregazioni, compagnie religiose e di privati. La necessità di riparare gli edifici danneggiati comportò la produzione di perizie, lettere, liste di lavori, elenchi di spese, richieste di sussidi alle congregazioni cardinalizie o ai collegi dei rispettivi ordini religiosi, memorie, deliberazioni di consigli di monaci: è un insieme diversificato di testimonianze emerso da un notevole numero di fondi archivistici.
Per quanto riguarda le fonti prodotte dalla memoria di singoli individui, quali i diari e le cronache cittadine, le descrizioni sono dettagliate. Hanno dato un contributo importante anche numerose relazioni specifiche manoscritte e a stampa, trattati e carteggi di accademici e di studiosi che contengono importanti dettagli e descrizioni. Infine, relazioni e opuscoli, alcuni dei quali a stampa, sui numerosi riti religiosi hanno restituito l’immagine del diffuso clima di paura, in cui per oltre un anno visse la popolazione bolognese.
Dal XIX al XX secolo
Nel corso dell’Ottocento a Bologna avvennero cinque terremoti, i cui effetti non furono di grave entità. Gli scenari sismici di questi terremoti, in particolare di quelli avvenuti nella prima metà del secolo, sono scarsamente documentati. Eventi politici conflittuali concomitanti e dispersioni hanno infatti limitato il numero dei documenti che ne conservano memoria.
Un contributo di informazioni è dato dalle fonti giornalistiche, diffuse capillarmente sul territorio. Infatti, a Bologna furono edite, anche se non tutte contemporaneamente, ben sette testate giornalistiche (Gazzetta Privilegiata di Bologna, Gazzetta dell’Emilia, La Patria, L’Unione, L’Ancora, Il Commercio e II Resto del Carlino). Ogni terremoto è descritto da più di uno di questi giornali: la loro lettura mette in evidenza una concorrenza, e a volte una vera e propria rivalità, fra giornali, fatta di accuse esplicite e denunce di errori, competizione per noi decisamente utile perché spesso determinò la volontà di fornire una maggior quantità di informazioni, attraverso corrispondenti locali, lettere e riscontri. Ai giornali affidarono comunicati, opinioni e resoconti di registrazioni strumentali i responsabili degli Osservatori locali.
Per quanto riguarda l’ambito scientifico, nel xIx secolo assunsero rilevanza le registrazioni descrittive di fenomeni meteorologicosismici. Si tratta di fonti che, seppur non sempre compilate da studiosi, sono molto utili per la descrizione delle singole scosse e per la conoscenza dei loro effetti. In questi testi si rileva una evoluzione nel modo di registrare un terremoto: infatti, se si confrontano le descrizioni di scosse scritte nel secolo precedente, sia pure da parte di accademici e studiosi, con quelle scritte nell’Ottocento, si evidenzia una nuova, forte attenzione al tempo di accadimento, alla durata e alla percezione delle singole scosse. Queste ultime non furono più definite in modo generico (forte, debole, leggera ecc.), ma sempre più spesso facendo ricorso, con un evidente sforzo di 'oggettivazione’, a una descrizione minuziosa degli effetti sulle persone, sugli oggetti e sugli edifici. Col passare dei decenni, a tali annotazioni si aggiunsero a volte informazioni ritenute importanti dalla sismologia del tempo, quali gli effetti sull’ambiente naturale. I criteri per descrivere le varie scosse di un evento sismico erano stati dati dall’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica (oggi Ufficio Centrale di Ecologia Agraria) sulla base delle prime scale di intensità elaborate. Le informazioni erano scritte da persone sparse sul territorio, che costituivano una vera e propria rete fissa di osservatori. Questi brevi questionari, chiamati cartoline macrosismiche, erano poi inviati all'Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Roma che elaborava i dati. Tali fonti sono state utilizzate per lo studio dei terremoti bolognesi degli ultimi decenni dell’Ottocento e hanno dato un contributo non irrilevante. Molte di tali cartoline furono compilate dopo il 1889 anche per terremoti precedenti, sulla base di schede termoudometriche.
Le fonti che attengono a una fase storica ancora non disciplinare della sismologia sono in genere poco note: tuttavia esse consentono un dettaglio di notevole e specifico interesse soprattutto per gli effetti sotto la soglia del danno e su vaste aree regionali, fornendo elementi oggi importanti per il calcolo di alcuni parametri del terremoto. È forse opportuno ricordare che tali fonti hanno nell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia il loro più importante Archivio, con oltre 100 mila pezzi conservati.
A documentare i sei terremoti del 1929 hanno concorso numerose tipologie di fonti, la cui analisi ha consentito di delineare scenari sismici molto dettagliati. Un peso preponderante ha avuto la documentazione istituzionale. Infatti, nella plurisecolare storia di Bologna e del suo territorio, quello del 1929 è il primo caso in cui le istituzioni accertarono i danni e sostennero con una certa efficienza e rapidità la ricostruzione (benché in percorsi amministrativi non privi di ombre e privilegi). La fase di rilevazione dei danni comportò la produzione da parte del Genio civile di oltre 1.200 perizie, che descrivono gli effetti sismici in singoli edifici abitativi. Questa documentazione ha fornito una rilevante quantità di informazioni, la cui analisi ha comportato una lunga fase di elaborazione. Sono risultati coinvolti nello scenario sismico oltre 600 toponimi e microtoponimi, compresi in sette comuni del bolognese: dovendo essere rapportati alla struttura amministrativa attuale del territorio interessato è stato necessario un paziente lavoro di identificazione delle località, soprattutto per le frazioni, gli aggregati rurali e i singoli casolari isolati, la cui toponomastica è cambiata nel tempo assieme all’afferenza ai comuni.
Alla conoscenza di questa sequenza sismica hanno contribuito anche le elaborazioni scientifiche dell’epoca, per la maggior parte bollettini e sintesi prodotti nell’ambito dell’Uccio Centrale di Meteorologia e Geofisica, che disponeva ancora di una capillare rete informativa. Infine, numerose fonti giornalistiche, stampate oltre che a Bologna nelle principali città dell’Italia centro-settentrionale, hanno completato il quadro delle informazioni disponibili. Lo studio di questa sequenza ha quindi restituito scenari sismici complessi, che hanno compreso anche aspetti di storia urbana dei singoli paesi, quali la risposta dell’edificato e le modalità di riparazione.
Lo sforzo di convergenza fra settori di ricerca tradizionalmente così distanti come quello della storia e della sismologia è ormai un carattere della sismologia storica, divenuta in questi ultimi decenni sempre più esigente e attenta al tema della pericolosità sismica di aree urbane. Nel contempo si è affinata anche l’idea stessa di sicurezza abitativa: una sicurezza che lega il presente al passato e che nelle vicende dei terremoti può cogliere non solo gli elementi scientifici codificati per classificarne gli effetti e per valutarne i parametri, ma anche l’indotto sulle società del tempo. I risultati di questa ricerca offrono, oltre agli evidenti contenuti sismologici, anche elementi per una storia urbana poco nota: le risposte date ai terremoti, le modificazioni che essi hanno apportato nel tempo al patrimonio edilizio storico, il coinvolgimento o il silenzio delle istituzioni e della cultura del tempo sono aspetti messi in luce da una storia minore, che ha segnato persone ed edifici.
Emanuela Guidoboni SGA Storia Geofisica Ambiente
Dall’analisi storica e scientifica all’azione sul territorio
L’Italia presenta un primato non invidiabile: tra i paesi europei e del bacino del Mediterraneo che patiscono alti rischi naturali è il più industrializzato.
La caduta di funzionalità di infrastrutture viarie e sottoservizi a seguito di eventi sismici distruttivi può degradare il tessuto antropico di vaste comunità a livelli anche drammatici.
Dal punto di vista della sismicità, California e Giappone sembrano presentare situazioni confrontabili con quella italiana ma non possiedono il patrimonio abitativo dei centri storici e la presenza di una economia diffusa negli stessi nuclei storici (artigianato e terziario), che rendono analisi e soluzioni specifiche molto complesse. Infatti, altri paesi del bacino del Mediterraneo (Grecia, Turchia, area del Maghreb) presentano livelli di rischio analoghi e possiedono patrimoni artistico-culturali simili al nostro, ma si differenziano dalla situazione italiana per il minore livello tecnologico e la minore complessità dei sistemi urbani.
Il nostro Paese spende storicamente ogni anno circa 6.000 miliardi di vecchie lire (equivalenti a più di 3 miliardi di euro) per interventi successivi alle calamità naturali; più dell’80% di questa cifra è destinato a finanziare le conseguenze dei terremoti che, pure con diversa intensità, si susseguono con una certa frequenza su vaste parti del territorio nazionale. Una spesa che segue la calamità, senza essere impiegata anche in attività e iniziative di prevenzione, non può senz’altro riparare perdite umane, ma neppure il patrimonio artistico e la coesione socio-economica di sistemi a volte molto fragili, confermandosi così come un rimedio assolutamente inadeguato per disagi e danni troppo rilevanti. È quindi evidente l’urgenza di indirizzare una quota parte delle risorse a programmi di prevenzione, da realizzare anche in un tempo medio-lungo e che prevedano la combinazione virtuosa dell’impegno pubblico e privato.
Il caso di Bologna, illustrato da questo volume nei suoi accadimenti storici nell’arco di quasi un millennio, ci invita ad una riflessione molto seria e preoccupante per le future generazioni, se si associa il rischio sismico a quello di un fenomeno relativamente recente e lento nel manifestarsi, ma ugualmente distruttivo: la subsidenza, che continua inesorabilmente a compromettere in modo irreversibile funzionalità di sottoservizi e stabilità di edifici per lo più di valore storico-culturale. Anche per queste ragioni, e alla luce dei recenti avvenimenti, sembra appropriata e urgente una riclassificazione più ampia e severa del territorio nazionale e soprattutto la promozione di una consapevolezza diffusa del rischio spesso latente che caratterizza i nostri sistemi urbani ad alta densità.
Il sistema urbano è un organismo complesso e la sua sicurezza è il risultato di un intreccio di componenti ed esigenze talora in contrasto fra loro: la conservazione del patrimonio storico-artistico e la necessità del suo adeguamento alle mutate esigenze, l’accesso ai servizi concentrati nelle aree centrali e la struttura dei centri storici. Occorre quindi elaborare una visione d’insieme rivolta al funzionamento complessivo della “macchina urbana” e secondo la quale ogni intervento pubblico o privato previsto sia orientato al miglioramento complessivo, seppure sviluppato per passi successivi.
Le periodiche ristrutturazioni edilizie che si susseguono spontaneamente nell’edilizia esistente (in particolare in quella storica) alterano il funzionamento complessivo dell’insieme urbano incidendo anche sulle strutture adiacenti non oggetto dell’intervento stesso, potendo costituire addirittura un peggioramento statico per l’agglomerato. Sembra quindi urgente e indispensabile avviare presso i Comuni un processo sistematico che porti alla verifica delle conseguenze possibili per ogni intervento non solo riferite al singolo edificio, ma estese al complesso della struttura urbana, e contemporaneamente costituire un “catasto” degli interventi strutturali sugli edifici da rendere subito disponibile e di consultazione obbligatoria per i tecnici impegnati nei successivi restauri e miglioramenti sismici.
Un primo livello di azione si colloca quindi sul piano conoscitivo. In questa prospettiva va ricordato che i Sistemi Informativi Territoriali consentono oggi la raccolta e l’elaborazione di un gran numero di informazioni e di dati che contribuiscono a rappresentare una immagine del “funzionamento della città”, dei suoi edifici e luoghi critici e delle problematiche da affrontare con priorità.
L’Università di Bologna, in collaborazione con il Comune, sta elaborando ipotesi e metodologie per la realizzazione di una struttura tecnico-amministrativa, che potrà avere la dimensione di ufficio comunale per le realtà più vaste, o intercomunale per i piccoli comuni, che possa essere di riferimento e di coordinamento per il miglioramento sismico a scala non solo edilizia ma urbana.
Una prima fase di lavoro dovrà essere destinata alla valutazione della vulnerabilità urbana dell’intero sistema per delineare priorità di intervento ed aree a maggiore rischio su cui concentrare attenzioni, incentivi e finanziamenti.
Una seconda fase, con una prospettiva di medio periodo, sarà centrata su una analisi più specifica di vulnerabilità edilizia, da realizzare con metodi speditivi attraverso campagne di rilevamento con piccole squadre di tecnici formati ad hoc, da applicare ai diversi isolati e da mantenere costantemente aggiornata.
Un’ultima fase, da avviare però parallelamente alle altre, riguarda il monitoraggio costante degli interventi attraverso una procedura di deposito dei progetti delle strutture che costituiranno una sorta di “catasto delle strutture”, da arricchire via via nel tempo e che potrà diventare la base di riferimento per gli interventi successivi sullo stesso organismo edilizio. Le conoscenze raccolte creano le condizioni perché ogni intervento edilizio possa e debba costituire un miglioramento strutturale e, di conseguenza, contribuire alla prevenzione del rischio.
Bologna, Città Metropolitana, si arricchisce oggi di questo importante documento. Le tecnologie dei sistemi informativi territoriali più avanzati sono da tempo un patrimonio di eccellenza di questo Comune. La ricerca applicata al territorio bolognese potrà costituire un’utile premessa che potrebbe fare da traino per altre aree più pericolose del Paese e per diffondere quella cultura del rischio e della prevenzione non più rinviabile.